martedì 4 dicembre 2012

La donna della domenica
Ovvero la mia prima volta con Fruttero e Lucentini

E finalmente dopo un incredibile e colpevole ritardo, come strenna natalizia anticipata arriva la recensione, che avevo promesso qui e qui. E che sembra ormai fuori stagione, come un microbikini in valigia per andare a passare il capodanno sulle Alpi, ma che ci volete fare... mi ero intestardita a scriverla, quindi eccovela!




Come credo di aver già ripetuto in più occasioni, ho da sempre una vera passione per i romanzi polizieschi e appunto ne ho letti tantissimi, soprattutto di autori stranieri. Avevo però una grossa lacuna da colmare a proposito dei due capiscuola della detective story all’italiana. Insomma, confesso che di Fruttero e Lucentini non avevo mai letto niente. O meglio. Di Carlo Fruttero avevo letto uno degli ultimi romanzi, questo, che avevo visto presentare da Fazio all’epoca dell’uscita in libreria. In quell’occasione ero rimasta letteralmente affascinata dall’autore, così avevo comprato il libro, lo avevo letto d’un fiato e in quel momento avevo deciso che dovevo approfondire la conoscenza e scoprire i primi romanzi, quelli scritti a quattro mani.
L’occasione è arrivata quest’estate quando al mare, su una bancarella di libri usati, ho trovato un’edizione economica de La donna della domenica e nel retrocopertina ho letto trattarsi di uno dei classici della premiata ditta F&L. Visto, comprato, letto.

La storia si svolge nell’arco di una settimana del mese di luglio, in un’afosa Torino dei primi anni Settanta, quando i suoi abitanti si trascinano stancamente tra casa, lavoro e avvenimenti mondani anelando alle prossime ferie d’agosto. In questo contesto, le vite di un piccolo gruppo di personaggi, impiegati, borghesi, ricchi aristocratici, vengono improvvisamente scombussolate dall’omicidio dell’architetto Garrone, un uomo di mezza età, disoccupato, viscido e volgare, un arrivista che vive ai margini della Torino bene desiderando disperatamente far parte di quella élite dalla quale è più o meno tollerato. Il delitto, apparentemente scaturito nel sordido ambiente della prostituzione e del sesso mercenario, scoperchia infatti un vaso di Pandora che rivela come le cose non sono mai quello che sembrano.
L’indagine, del resto, non è che un pretesto per raccontare piccoli vizi, manie e ipocrisie di una società e di una città, Torino, negli anni del boom economico. Così, la bella moglie dell’imprenditore, che finge di non sapere che il marito ha un’amante, si crogiola nei suoi monologhi interiori riflettendo sulla migliore immagine da dare di sé agli altri e anche a se stessa. Il gallerista d’arte, che frequenta il mercato delle pulci alla ricerca di cornici a basso costo, se ne vergogna e teme di farsi notare dai propri clienti e conoscenti che affollano le stesse bancarelle. Poi ci sono gli amici del ricco e giovane single, che fingono di ignorarne l’omosessualità. C’è il giovane impiegato comunale, con velleità da intellettuale, che fa a gara con i colleghi sulle mete più esotiche e avventurose in cui passare le vacanze e cerca disperatamente un riscatto sociale ai loro occhi. C’è il critico di letteratura americana immaturo e un po’ paranoico, che vive con gli anziani genitori e si perde in schermaglie intellettuali, probabilmente immaginarie, con colleghi che mal digerisce. Ci sono le due anziane sorelle che vivono barricate con una vecchia domestica in una villa in collina, “assediate” dal traffico notturno di prostitute, clienti e protettori che hanno scelto i loro terreni come luogo di commercio. E infine c’è il commissario, meridionale trapiantato a Torino, che di questo mondo non fa parte ma che è riuscito a capirlo e a farsi accettare. E che quindi in questo mondo riesce a muoversi con disinvoltura, fino ad arrivare alla soluzione del caso.

L’intreccio poliziesco, insomma, diventa il veicolo di una narrazione più profonda e ricca, in cui il profilo psicologico dei diversi personaggi è tratteggiato in modo rapido, fresco e nitido. E in cui emerge come protagonista vera questa Torino divisa tra retaggi sabaudi e incalzante, ma non sempre gradita, modernità. Una Torino che, dopo questa lettura, finalmente mi attira – non me ne vogliano i Torinesi, ma l’ho sempre percepita come una città un po’ grigia e triste – e mi chiama. E se un romanzo genera il desiderio di approfondire, di scoprire e di conoscere, secondo me, è un romanzo che sicuramente merita di essere letto.


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